giovedì 29 luglio 2010

Testaccio


Testaccio è il nome del ventesimo rione di Roma, indicato con R. XX.
Il nome deriva dal cosiddetto "monte" (mons Testaceus): 35 metri di cocci (testae, in latino) e detriti vari, accumulatisi nei secoli come residuo dei trasporti che facevano capo al porto di Ripa grande (
Emporium).

Il porto dell'Emporio funzionava fin dall'epoca romana, ed era il punto d'approdo delle merci e delle materie prime (prioritariamente marmi, grano, vino) che, arrivate via mare dal porto di Ostia, risalivano il Tevere su chiatte rimorchiate dai bufali (che nel 1842 vennero sostituiti con rimorchi a vapore).
Nei secoli, i cocci di anfore, che erano i contenitori dell'epoca per la movimentazione di grano e alimenti liquidi, si accumularono a montagnola: da qui il nome - antico - di
monte Testaccio o Monte dei cocci, e la scelta - moderna - dell'anfora come simbolo del rione. Il numero delle anfore accatastate si stima attorno ai 25 milioni.
I marmi, che diedero il nome alla via Marmorata che mette in comunicazione il porto di Ripa con la
Porta San Paolo, erano quelli che i romani continuarono ad importare da tutto il mar Mediterraneo via mare fino alla fine dell'impero, e che nella decadenza di Roma rimasero inutilizzati in grandi quantità, res nullius, per secoli cava a cielo aperto di semilavorati di valore.
Fino alla bonifica e alla riorganizzazione urbana iniziata dopo il
1870, che destinò questo territorio e quello lungo la via Ostiense fino alla basilica di san Paolo ad attività industriali e di servizi "pesanti" (ferrovie, mattatoio, mercati generali, fabbrica del gas qui trasferita dal Circo Massimo - per fare degli esempi) la zona, che pure era dentro le mura, era popolata da contadini poveri e pastori, soggetta alle alluvioni del Tevere e infestata dalla malaria, che cominciava alle porte di Roma.

Lapide del 1720 che ricorda l'uso pubblico dei Prati di Testaccio
Lo spazio tra il monte dei cocci e le mura era ad uso pubblico, e chiamato «i prati del popolo romano», e i Romani "di città" la frequentavano per diporto: per loro i prati del Testaccio erano destinazione tradizionale delle gite di pasquetta e delle
ottobrate [2].
Testaccio è un esempio tipico di urbanizzazione industriale, nata come insediamento abitativo, separato e prossimo, connesso a luoghi di produzione: il rione entro le mura nacque, in effetti, come propaggine residenziale destinata agli operai addetti alle attività che si vennero insediando lungo la via Ostiense dalla fine dell'
Ottocento. Da questo punto di vista è un esempio unico, a Roma, di urbanizzazione programmata.
Già il primo
piano regolatore di Roma capitale, nel 1873, prevedeva che l'espansione industriale della città dovesse avvenire nella zona Ostiense: favorivano questa scelta il territorio pianeggiante e la presenza di varie vie di comunicazione - la via Ostiense appunto, il fiume con il porto di Ripa, e la ferrovia.

Il rione, in quanto entità amministrativa, è di istituzione abbastanza recente: fu scorporato nel 1921 dal vasto e poco popolato rione Ripa, anche se il Testaccio aveva una sua identità da sempre - e godeva di non buonissima fama, legata appunto ai traffici del porto e della sua gente - era, insomma, una specie di angiporto di fiume: ancora nel 1884 in un'indagine del Comune di Roma si leggeva che Testaccio deteneva il primato nazionale del consumo di alcolici. Rione assolutamente popolare, da sempre luogo d'elezione dei passatempi e delle scampagnate dei romani, fu la culla dell'A.S.Roma con il suo campo di calcio.
Le numerose fraschette, osterie e trattorie di una volta (favorite dal fatto che a Testaccio era localizzato il
Mattatoio comunale, e poco lontano i Mercati generali) si sono trasformate ora in pub e ristoranti, che ne perpetuano la vocazione "divertentistica", e siccome i piaceri alimentari non escludono quelli intellettuali, nel vecchio Mattatoio è stata installata una sezione del MACRO e una sede della Facoltà di Architettura dell'Università Roma Tre, mentre al monte dei Cocci ha la sua sede la Scuola Popolare di Musica di Testaccio.

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